Visualizzazione post con etichetta 300 parole. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta 300 parole. Mostra tutti i post

venerdì 12 settembre 2014

Renzo.

Il freddo di dicembre era arrivato e sferzava senza pietà il corpo e l'anima. L'ora era tarda e le strade erano quasi deserte. I suoi passi erano marcati e veloci. Gli ultimi caldi vapori delle luci bluette dello strip club erano ormai svaniti e la coscienza tornava lentamente a prendere il suo posto. Quella volta, come le altre, stava avvenendo la mutazione: la bestia stava lasciando posto all'uomo. 

Nonostante le strade fossero oramai deserte, si aggiustò il bavero del cappotto e si calò il cappello fin sopra gli occhi per il timore di essere riconosciuto. Come al solito lasciò l'auto non troppo vicina alla meta abituale dei suoi week-end. Salì in auto e una volta aggiustato un santino magnetico davanti a lui, mise in moto e partì.

Sopraggiunse la pioggia mentre ripensava, con rimorso, alla serata appena trascorsa, alle deviazioni e agli eccessi vissuti. 

Arrivato a destinazione si diresse verso la piazza centrale dove lasciò l'auto. Percorse un vialetto poi aprì la porta, si tolse cappello, cappotto e sciarpa. Un fulmine illumino a giorno la stanza. Ebbe un brivido. Accese la luce e si voltò di scatto. Riconobbe la persona che si trovava di fronte a lui con un revolver in pugno.

«So dove sei stato» disse quella voce, piangendo. «E non è la prima volta!» aggiunse.
«Ti posso spiegare» disse l’uomo, tendendo le mani.
«Sta’ zitto, traditore! Non hai rispetto neanche del luogo dove ti trovi» disse la voce, con tono rabbioso «Mi avevi promesso che avrei fatto parte della tua nuova vita. Avevi detto che mi amavi. Vero don Renzo?»

Il parroco tentò di avvicinarsi all’interlocutore ma andò incontro a due colpi di arma da fuoco.

La mano tremante del ragazzo, lasciò cadere la rivoltella. Sapeva che i suoi sogni sarebbero terminati dentro le mura di quella sacrestia.

martedì 2 settembre 2014

Fabio.

Le dita di Fabio scivolavano veloci sulla tastiera. Ogni tanto uno sguardo veloce ai monitor di fronte a lui. Codici, stringhe di programmazione, password, codici sorgente. Una vita tra codici risolti, progetti sottratti, formule rivelate, corrispondenza rubata. Tante identità, frammenti di vita, solitudine latente. Nessuno lo conosceva davvero e, forse, neanche lui stesso.
Nessuna famiglia, mai affetti stabili, mai legami. Solo caratteri alfanumerici e codici da spezzare, sistemi da violare.
In quei minuti doveva salvare dati importanti in uno dei suoi server disseminati nel pianeta. Della sua vita, invece, rimaneva ben poco da salvare, persa com'era tra i byte che abilmente trasferiva. Al termine della procedura si sarebbe sganciato da tutto e tutti. Sempre in fuga.
Quella sera si sentiva strano. Avvertiva una remota sensazione.
Lo scaricamento dei dati era al 95%. Bussarono alla porta. Si voltò di scatto verso il monitor della telecamera sistemata all'ingresso, sulla strada. Non vedeva nulla. Solo nebbia. Accelerò le sue dita sulla tastiera seguendo un ritmo convulso. Ad un tratto sentì chiara una voce - “Papà! Papà sono io!” proveniva da fuori, oltre la porta - “Apri!” Quella sensazione si fece ghiaccio e si impadronì di Fabio.
Sono Giulia, apri!” disse ancora la voce.
Giulia?” esclamò l'hacker. “Porca putt-” Ci fu un'esplosione.
La ragazza era Giulia, la figlia che non vedeva da 10 anni. Più tardi, dopo l'irruzione, durante il trasferimento in Commissariato, lei stessa ebbe modo di raccontargli cosa era successo, come era diventata Ispettore della Polizia Federale e in che modo la sua squadra speciale Anticrimini Informatici, lo avesse scovato dopo anni di indagini.
Fabio venne catturato ma, per la prima volta dopo tutti quegli anni, si sentiva felice.
Adesso lo trovate al parco dove conduce il doppio passeggino dei gemellini di Giulia.

Di tecnologia e internet non ne vuole sapere più.

mercoledì 27 agosto 2014

Lia.

L’acqua scivolava sui vetri in quella piovosa mattina primaverile. Lia stava alla finestra. Nonostante l’incertezza dell’alba, tutto era più netto, nitido, deciso. E anche alla finestra sulla sua vita, Lia vide un’immagine più netta, nitida. Decisa.

Erano le 6,30. Dopo la doccia si guardò allo specchio. A dispetto dei trent'anni passati al servizio era ancora una donna attraente. Vedendosi, avvertì il senso di nitidezza pervaderla tutta, dai suoi lunghi capelli ramati, attraverso la sua candida schiena, giù per le sue lunghe gambe. Non era più stanca, oppressa, rassegnata. Si sentiva forte e decisa. Vestì il camice e il grembiule, calzò le scarpe e poi raccolse i capelli dietro una coroncina di pizzo bianco. Era pronta.

Scese in cucina per preparare la colazione. L’ultima colazione. Il Direttore dell'albergo era solito iniziare la sua giornata con una tazza di latte appena macchiato dal caffè. Siccome era l’ultima, Lia decise di metterci più cura nel preparargliela. Scaldò il latte alla giusta temperatura, lo versò nella lattiera del servizio Inglese. Prese una tazza, la caffettiera e sistemò tutto sul vassoio d’argento. Poi ci mise sopra anche un cucchiaino, il pane tostato, la zuccheriera, la composta di fragole e un coltello. Prese il vassoio e si diresse verso la saletta.

Il Direttore era già seduto al suo posto, davanti alla vetrata sul giardino. Lia arrivò alle sue spalle. Salutò, poggiò il vassoio sul tavolo e gli versò, come al solito, mezza tazza di latte. Lui avrebbe, come al solito, fatto il resto. Il Direttore volse il suo laido sguardo verso Lia poi, da dietro, allungò la sua mano sotto la gonna disse: “Grazie cara!”
Furono le sue ultime parole.

Lia guardava allo specchio i suoi lunghi capelli castani ramati. Sciolti.

Lo spillone che li teneva raccolti era rimasto conficcato alla base della nuca del bastardo.


E' un racconto di 300 parole che ho scritto per partecipare ad un concorso ideato da Romina Tamerici nel suo blog, per celebrarne il terzo compleanno. Con grande sorpresa il mio racconto è stato selezionato tra i finalisti. Speriamo bene!